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Tutti gli anni, il giorno di Santo Stefano.

Il 28 luglio 1914 l’Imperatore Francesco Giuseppe
L’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo
dichiara guerra alla Serbia e il 31 ordina la mobilitazione generale.

Arruolato il 2 agosto 1914, Giacomo Romagna
Giacomo Romagna, nel III reggimento Landesshutzen. San Candido. Autunno 1914.
, classe 1893 di Mezzano, parte con il treno da Trento per San Candido di Pusteria, dove passerà alcuni mesi di addestramento, nel III reggimento Landesschützen. ((Il III° Reggimento denominato “k.k III Landesschutzenregiment Innichen” , formato il 1° marzo 1909, era quello dolomitico e stazionava d’inverno a San Candido-Innichen, ma anche a Fiera di Primiero, Predazzo e Cortina mentre d’estate oltre che nelle stesse località, anche a Moena, Passo San Pellegrino, Penia in Val di Fassa, Sesto (Sexten). Aveva i battaglioni come segue: 1° a Fiera di Primiero, 2° a Predazzo, 3° a Cortina. Comando del reggimento a San Candido-Innichen.))

Mappa degli Scontri in Galizia

Mappa degli Scontri in Galizia

Nel mese di dicembre è inviato sul martoriato fronte Galiziano, dove si stanno fronteggiano le truppe russe e quelle austro-ungariche, tra le quali circa 25.000 italofoni. Il battaglione di Romagna fa parte dei rinforzi per contrastare la controffensiva russa alla vincente campagna austriaca di Limanowa-Lapanow. Pochi di loro torneranno a casa. Il 26 dicembre partecipa a una sanguinosa battaglia presso Jaslo, a sud-est di Cracovia. Vi vede cadere, uno dopo l’altro, tutti i suoi comapagni. Viene ferito ad una gamba e ad una spalla ma riesce a salvarsi e viene fatto prigioniero dai russi.

E’ deportato nel campo di Dranitsa, nei sobborghi di Kiev. Vi rimane per ben due anni, tra fame, stenti, pidocchi, e lavoro nei campi.

In virtù dell’accordo tra l’Impero russo e il Regno d’Italia, nell’autunno del 1916 al campo arriva una lettera di per tutti i prigionieri trentini. Convinto della possibilità di ritornare presto a casa, nell’autunno del 1916 entra a far parte degli “irredenti”. Decide, come altri 4000 austriaci italiani, di “optare” per l’Italia.

Nel novembre del 1916, nel porto di Arcangelo, si imbarca per ritornare a casa. Sul piroscafo francese “Medie”,  assieme ad altri 21 ufficiali e 664 optanti, cumpie un lungo e travagliato viaggio in mare. Circumnaviga la Scandinavia, passa per Glasgow e Southampton, e sbarca a Brest, in Bretagna. Da lì è condotto in Piemonte, dove passerà nei campi l’ultimo periodo della guerra.

Di seguito l’esperienza di guerra che Giacomo Romagna raccontava tutti gli anni il giorno di Santo Stefano, trascritta integralmente dai ricordi di sua figlia, Maria Romagna:

Agenda di Maria Romagna Raffael

Agenda di Maria Romagna Raffael

Oggi è il giorno di Natale del 2003.

Mi ricordo che mio padre finché era vivo, ci raccontava sempre in questo giorno la sua odissea di guerra che passò nei giorni di Natale e Santo Stefano del 1914. Mio padre era nato nel febbraio del 1893. L’Austria nel 1914 dichiarò guerra alla Russia e il 2 agosto fece il (Mobilizirum) ((Mobilitazione generale austro-ungarica)) la mobilitazione generale, siché tutti gli uomini validi vennero chiamati quasi tutti nello stesso giorno. Portarono a tutti la cartolina di richiamo
Mobilitazione generale in lingua italiana
.
C’erano dei giovani ((giovani e meno giovani)) meno giovani, sposati con figli e non sposati, tutti dovevano partire immediatamente. Quelli del Primiero dovevano radunarsi tutti a Fiera. La gente era tutta in subuglio, una vera disperazione. In questo tempo le famiglie erano sui masi, chi in malga, chi in paese e altri lavori, dovettero piantare tutto, lasciare la famiglia, figli, genitori e venire in paese per cambiarsi un po’, prendersi qualche cosa di soldi, pure qualche cosa da mangiare. Da Fiera poi quando erano tutti radunati alcuni alla volta li fecero salire su delle camionette, e inviati poi ala volta di San Martino. Mentre passavano di là, dalle finestre degli alberghi c’erano le (Kelere) ((cameriere)) cameriere con dei fazzoletti bianchi in mano che li salutavano. Mentre proseguivano la strada ora verso il passo Rolle, sulla camionetta c’era chi cantava forse aveva bevuto qualche bicchiere c’era chi piangeva e diceva chissà se torneremo più  a casa. Tutti facevano i loro comenti e dicevano, chissà dove ci porteranno e fra questi c’era anche mio padre. Li portarono fino ad Egna di Trento e la li scaricarono tutti, era una grande piazza, e là vi erano anche altri trentini tutti richiamati e giravano per le vie e per le piazze come frastornati, anche mezzi ubriachi che imprecavano contro tutto e tutti. Infine venne l’ordine di partire, questa volta sul treno, mio padre venne portato in Pusteria.
C’è da dire che mio padre aveva altri due fratelli richiamati in quei giorni, Ernesto e Angelo, il quarto fratello Silvio era della classe 1900 e lo richiamarono pure lui quasi alla fine della guerra, aveva solo 18 anni, ma gli bastò perché dopo essere tornato a casa assieme a tanti altri, li reclutavano di nuovo
L’avviso per la deportazione a Isernia. 16 novembre 1918.
, da parte di alcuni nostri signorotti… che li deportarono a Isernia. La in Isernia li tenevano come dei prigionieri fame, sete, freddo, pidocchi, e le donne quando passavano là davanti gli dicevano traditori. (Questi erano dell’Italia redenta)
Ora torno da mio padre, che era in Pusteria dove gli fecero fare 4-5 mesi di addestramento il come maneggiare le armi, dovevano stare sotto una disciplina molto severa. Per chi sbaccava ((per chi si lamentava)) un po’ c’era il castigo della colonna, avevano a che fare anche con la lingua il tedesco, se non capivano bene i comandi c’era la frusta. Un giorno ricevettero l’ordine bisognava partire. Li equipaggiarono di tutto per andare al fronte. Si incamminarono per giorni, sempre in marcia. Poi un giorno si inoltrarono in una valle molto tetra, e man mano che andavano per la strada dalle parti vedevano delle e croci che aumentavano sempre di più.

Paesaggio Galiziano

Paesaggio Galiziano

Si guardavano uno con l’altro e dicevano…(quà la se fa orca) ((“Qui si mette male”)). Camminarono ancora, finché arrivarono su un pianoro sotto ad una collina. Là li fecero accampare, era il giorno di Natale. Poi li fecero scavare una piccola buca. Mentre scavavano questa buca, mio padre pensò di farsi un po’ di caffè, l’occorevole lo aveva nel zaino. Accese un piccolo fuoco per mettere su il gamellino per il caffè. Non lo avesse mai fatto, perché in quel mentre passò di là un ufficiale tedesco ((austriaco)) e vide il fuoco, andò là su tutte le furie e con due scarpate butto per aria fuoco e gamellino. Poi minacciò mio padre dicendogli che in zona di guerra non si possono accendere fuochi. Allora mio padre che era molto stanco e affaticato, (come sarranno stati anche tutti gli altri soldati) non si arrese e fece di nuovo il fuoco, non ebe il tempo per farsi il caffè che passò di nuovo l’ufficiale che con rabbia gli spense di nuovo il fuoco, e poi dette l’ordine che mio padre fosse messo alla colonna, le mettevano una corda legata sotto le braccia poi li appendevano ad un palo e dovevano stare là appesi  fino a quando l’ufficiale dava l’ordine di slegarli (se si ricordava). In quel fratempo c’era là vicino un ufficiale trentino che ha visto il caso, e andò subito dall’ufficiale tedesco ((austriaco)) per chiedergli quasi implorando di lasciare libero quel soldato condannato alla colonna, che fu poi liberato.

Mappa della Galizia

Mappa della Galizia

Era sempre il giorno di Natale, e alla sera dovevano coricarsi nella buca mezza trincea si può dire. Erano sette i compagni che si trovavano per farsi compagnia compreso mio padre tutti trentini. La sera prima di adagiarsi nella buca per dormire si misero tutti d’accordo che alla mattina quando facevano la sveglia di stare là sotto senza muoversi e stare zitti, perché sapevano che dovevano andare in battaglia. Sopra la buca dove dormivano avevano messo un telo per ripararsi dal freddo.
La mattina seguente sul telo c’era su la neve che era caduta durante la notte. Venne l’ora della sveglia e di alzarsi, tutti scattarono come una molla, nessuno osò rimanere nascosto là sotto, tanto era il rigore e la crudelta che usavano verso questi poveri soldati. E dopo si misero tutti in cammino su per la collina e là si fermarono.
Era il giorno di Santo Stefano del 1914.
Sulla collina vi erano molti faggi e un’erba molto alta. Al momento sembrava una gran quiete, poi sentirono qualche sparo provenire dalla parte opposta dove erano accampati i russi. Allora subito i comandanti tedeschi ((austriaci)) diedero l’ordine ai nostri soldati di sparare. Loro erano muniti solo di un fucile e baionetta, messi là su una collina alla mercé del nemico. Intanto le pallottole nemiche venivano sempre più fitte. Mio padre si era riparato dietro a un faggio. Sembrava il finimondo, vide cadere tutti i suoi compagni e i feriti che gridavano, mamma mamma mia non ti vedrò più. Un compagno che era ferito la vicino a mio padre gli disse, Romagna finissimi di uccidere. Un tenente trentino che era là vicino, anche lui dietro un piccolo faggio continuava a sparare, voleva fare il suo dovere… Mio padre gli disse riparati la testa dietro al faggio. Glielo aveva appena detto che questi ricevette una pallottola in fronte. Mio padre rimase là impietrito in mezzo al fragore delle cannonate e ai feriti che piangevano e urlavano. Lui era là fermo con una pallottola in una spala e una pallottola in una gamba. Non poteva stare del tutto riparato dal faggio.
Tutto a un tratto il fuoco cessò, e ritornò la quiete. Ma c’erano i feriti che gridavano e imploravano aiuto, pure una distesa di morti che quelli non parlavano più. Lui pure non si muoveva, aveva un gran dolore alla spala che la pallottola gliela traforò la pallottola che prese nel polpaccio della gamba gli restò là finché visse.
Mio padre pensò, cosa sucedera ora? Ma ben presto capitarono i russi, ed egli pensò, ora ci faranno fuori tutti ma non fu così, presero su tutti i feriti e li misero su delle barelle e li fasciarono le ferite perché non perdessero più sangue. Poi li portarono dove avevano delle camionette e su quelle li caricarono per portarli fin dove c’era il treno. La li scaricarono per poi metterli sul treno.
Viaggiarono un giorno e una notte e li portarono in Russia. Non riccordo più il nome del paese ((Campo di Darnitsa, nell’odierna periferia sud-orientale di Kiev)) ma era nel centro della Russia. Li portarono in un ospedale dove vennero medicati alla meno peggio, non gli levarono neanche la pallottola che aveva nella gamba, forse non l’avranno nepur vista. Secondo che si ristabilivano un po’ questi prigionieri, li portavano in una caserma.
Là rimase per due anni. Patirono tanta fame, tanto freddo e tanti pidocchi. Mangiavano solo un po’ di minestra lunga, fatta con cavoli e patate (qui da noi gli anni passati la chiamavano pestrin). Questi prigionieri erano sempre là chiusi in grandi stanzoni, e non potevano mai uscire, vi erano dei tedeschi ((austriaci)), dei trentini, graduati e non. Non facevano niente altro che spidocchiarsi. Però gli ufficiali no, si vergognavano uccidere pidocchi si lasciavano mangiare piuttosto.
Inventarono perfino una storiella sul pidocchio, che diceva così: O pidocchio galiziano O fedele mio compagno Giorno e notte ognor ((a ogni ora)) ti sento Non mi lasci un sol momento E sempre a spasso te ne vai Per il petto o per la schiena Vuoi aver la pancia piena.   Verso primavera, (là vi erano grandi estensioni di frumento) e i grossi contadini adoperavano manodopera e si recarono alla caserma dei prigionieri tedeschi ((austriaci)), chiesero ai capi che li dessero degli uomini per lavorare nei campi per un determinato periodo. La domanda fu accolta, entrate in caserma e sceglietevi pure gli uomini che vi servono. Entrarono nella caserma e incominciarono a guardare e scrutare questi poveri prigionieri pallidi e patiti. Li guardavano le spalle e le braccia se potevano essere abili per lavorare. Ne scelsero alcuni e fra questi anche mio padre, egli era di una corporatura abbastanza robusta, ma l’inverno passato in caserma le forze gli erano un po’ diminuite e pure la vista, ma almeno ora era fuori dalla caserma, dovevano si lavorare, ma mangiavano un po’ di più. C’era il pane, c’era del pollame. La bevanda era il tè.
Un giorno mio padre si accorse che due tre galline ad una certa ora venivano fuori da un grosso cespuglio, volle andare a vedere… Le galline là deponevano le uova, mio padre di nascosto dei padroni, ne beveva anche tre al giorno, dopo un po’ di tempo riprese le forze e anche la vista. Ma finita la stagione dei campi dovette ritornare ancora in caserma, e passo di nuovo un inverno di fame e di stenti. La primavera tornò di nuovo con i contadini.
Il tempo intanto passava, ma loro ((i prigionieri)) non sapevano nulla della guerra, non avevano notizie da nessuno, sui propri cari, sul proprio paese tutti all’oscuro di tutto. In autunno tornò di nuovo in caserma. Ma in quel fratempo arrivo una lettera con un messaggio non so come dire, veniva dall’Italia, era un messaggio per tutti i prigionieri trentini. Il messaggio diceva così: Tutti i prigionieri trentini se vogliono optare per l’Italia veniamo a prenderli e li portiamo in Piemonte, dove non c’era il fronte. La più gran parte accettarono, eccetto qualquno: non sapevano a cosa andavano incontro sarebbero stati dei disertori. Sarebbero stati dei Cesari Battisti traditori della Patria. Ma pensando a come erano trattati là in Russia (la và o la spacca) decisero di partire. Attraversarono su tutta la Russia, e lassù al porto di mare
Gli irredenti in partenza da Arcangelo
c’era pronta una nave italiana ((Francese)) e su quella s’imbarcarono tutti. Dovevano fare tutto il giro del mare del nord, che li portavano in Francia. Undici giorni di navigazione, vi fu anche il mare in tempesta in questa traversata, una giornata terribile, la nave minacciava di affondare, tutti con il mal di mare. Solo a uno chiamato Meneghinot, anche questi di Mezzano, il mare  non gli face niente. Mangiava anche le razioni degli altri, cibo ce n’era in abbondanza. Dalla Francia li portarono in Piemonte, dove vennero sistemati in una caserma. Da là poi sono stati ingaggiati dai contadini del luogo che tenevano grosse tenute come operai agricoli, e là restarono fino alla fine della guerra.
Qui in Trentino allora (Sud Tirol) c’era ancora la guerra, che durò ancora due anni. Da là mio padre poté mettersi in comunicazione con la famiglia. Se il Trentino fosse restato ancora sotto l’Austria mio padre sarebbe stato calcolato un disertore e non sarebbe più potuto tornare.

MARIA ROMAGNA RAFFAEL

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