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Ti condurrei, amore mio…

Con linguaggio dalle tinte forti e contrastate, Garcia Lorca conduce l’amata lungo il corso dell’anno. A partire proprio dalla verde promessa degli stagni infiniti, là dove sbocciano i figli delle giovani fate, forse delle Guane.

Le stagioni della sua terra gli offrono una tavolozza per dipingere i propri sentimenti.

E così, passando dall’autunno all’estate rigogliosa, il poeta approda a una cruda e mortifera immagine invernale.

Ti condurrei,
negli autunni, al bordo dei verdi
stagni infiniti
a veder i neonati di giovani fate
e a guardare i placidi
alberi sfioriti.

Cos’è che risuona
così lontano?
Amore.
Il vento sui vetri,
Amore mio.

E durante le estati,
là nella campagna,
che gioia mi darebbe
vederti nel mio grano,
coperta di papaveri
e con la fronte di bimba
fra il refrigerio
di quel paesaggio amico.

Cos’è che risuona
Così lontano?
Amore.
Il vento sui vetri,
Amore mio.

Ma già le foglie
coprono il sentiero
e freddo è ormai
il cuore tuo.
So che ben conosci
l’intensità del mio amore
e le acque di sangue
che il mio fiume trascina.

E malgrado tutto
sento gli echi
della tua voce impaurita
che teme i rumori.
E io ti rispondo
con gli occhi inariditi,
liberando i miei neri
passeri senza nido!


Cos’è che risuona
così lontano?
Amore.
Il vento sui vetri,
Amore mio.

 

Ti condurrei di

Federico Garcia Lorca (1898-1936) è stato un celebre poeta e scrittore spagnolo. Lorca muore durante la Guerra civile spagnola, ucciso dai seguaci di Franco a causa del suo dichiarato favore verso le forze repubblicane. Una spiccata capacità introspettiva lo ha reso cantore di ogni cosa esistente: la vita, l’amore, la morte, gli alberi, la sua chitarra e la sua tristezza.

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