di Angelo Longo
di Angelo Longo
In questo saggio si è cercato di indagare la presenza a Primiero dei palù da un punto di vista storico, socio-culturale e percettivo. I tre punti di vista non sono stati trattati separatamente, bensì tutti inseriti nella stessa cornice analitica che vede da un lato le zone umide e dall’altro il territorio nel suo complesso, l’organizzazione produttiva dello spazio e il paesaggio percepito o immaginato.
Maggiore attenzione è stata data al periodo storico inquadrabile nei decenni centrali del Novecento.
Si parte definendo la terminologia necessaria per inquadrare (anche concettualmente) le zone umide, ovvero il termine palù e altri (póša, bùša, lach…). Si prosegue definendo il rapporto tra le zone umide e le attività agro-pastorali: quindi il rapporto tra i palù e i campi, i pascoli e i prati.
Emerge fin da subito, e con estrema evidenza, la costante presenza delle zone umide sul territorio e nei ricordi delle persone (nel testo sono utilizzate soprattutto le fonti orali). Molti i palù che “intralciano” le normali attività quotidiane del recente passato: si viene a creare con essi un vero e proprio rapporto di familiarità, visibile per esempio nella toponomastica. Tale familiarità non è però riscontrabile nei documenti di rilevazione del territorio (mappe, catasti, censimenti di fine Ottocento) che “dimenticano” i palù per concentrarsi quasi esclusivamente sulle zone produttive (i già citati campi, prati, pascoli e anche i boschi).
La parte centrale del saggio è dedicata poi alle azioni “sui” palù (le opere di drenaggio e canalizzazione, le arginazioni dei corsi d’acqua:) e azioni “nei” palù (il prelievo di rane, gamberi, uccelli e pesci; la raccolta di erbe e fieno). Si descrive poi l’utilizzo e la percezione dell’acqua “morta” delle zone umide e del terreno argilloso e bagnato che caratterizza i palù. Ciò ci permette di accennare ad alcune vicende che sconfinano nel leggendario (come l’acqua miracolosa e il Boión che tutto inghiotte, la bùša de l toro…) oppure a coraggiose attività imprenditoriali (la cava di torba al Pra delle Nasse).
Una vicenda del 1899...
Una vicenda del 1899...
Nel settembre del 1899 nel Boión cade un bambino, la vicenda è descritta in una lettera che il Capocomune di Sagron invia al Capitanato distrettuale di Primiero.
Si dice che in località Pradilà «vi è uno stagno circolare del diametro di metri 5 e altrettanto profondo quasi tutto ripieno d’acqua.
Il dì 24 settembre ultimo scorso alcuni fanciulli che ivi custodivano le armente si dilettavano attorno lo stagno gittando sassi alle rane che si mostravano dentro. Accidentalmente certo Marcon Vittorio di Raimondo, d’anni 8, di Sagron, vi cadeva dentro. Gli altri fanciulli tramortiti dalla spavento fuggirono piangendo e gridando aiuto. Solo Salvadori Giovanni di Francesco, pure di Sagron d’anni 13, non si perdette d’animo e visto per caso un lungo bastone, lo pigliava e con tutta destrezza lo porgeva al Vittorio gridando: “Pigliati nel bastone!”
Il Marcon che ad onta del dibattersi colle mani non sopravanzava dall’acqua che una piccola parte del capo udì il grido del Salvadori e con destrezza afferra il bastone e l’altro a gran stento lo trasse dall’acqua ancor salvo.»
Il Capocomune, fiero del suo concittadino, esorta quindi il Capitanato affinché venga assegnata una ricompensa per il gesto eroico del piccolo Salvadori. Ma non ci sono le condizioni, risponde il 25 ottobre il Capitanato: «la ricompensa spetta a chi, in pericolo di vita, presti soccorso ad altri in pericolo loro stessi di vita, caso che non sembra quello del Salvadori».
La parte conclusiva riflette invece sulla situazione attuale delle zone umide, sulla loro trasformazione reale e percettiva. Il Prà delle Nasse diventa così l’esempio perfetto per raccontare dell’invasione, del disinteresse e della invisibilità dei palù oggi.
Pestolàr te l palù. Le zone umide di Primiero tra storia e antropologia